Compie quarant’anni Raitre, nata regionale e cresciuta nazionale
pubblicato su Nuova Armonia rivista di Rai Senior diretta da Umberto Casella n.5/2019
Nata il 15 dicembre 1979, la rete aveva una precisa missione: rappresentare il volto regionale e locale di un’Italia che allora sperava in un forte decentramento amministrativo e politico. Qual era il progetto? Le regioni avevano appena nove anni ed erano diventate sedi di competizione tra i partiti politici, ma anche di sperimentazione di alleanze. Si voleva fornirle di uno strumento pubblico di comunicazione al servizio del territorio. Un telegiornale regionale tutti i giorni alle 19 e due programmi settimanali di mezz’ora (RR, regionale per regionale), e alcuni programmi, realizzati in regione, da trasmettere in rete nazionale (RN regionale per nazionale). Si doveva dare spazio ai temi locali, trovare talenti, far emergere creatività, ricchezza culturale ma anche evidenziare pluralismo e diversità. Nelle sedi regionali, che fino allora realizzavano una fascia radiofonica quotidiana di un’ora, furono organizzate strutture in grado di produrre programmi televisivi. Furono assunti per concorso nazionale programmisti registi e giornalisti. Da quella difficile selezione entrò in azienda una classe notevole di cervelli; alcuni di essi hanno raggiunto alti gradi o notorietà: Giuseppe Giulietti, Enrico Ghezzi, Sergio Valzania, Roberto Olla, Daniela Tagliafico, Ezio Trussoni, ma si potrebbero fare tanti altri nomi.
Bisognava cominciare da capo facendo partire immediatamente il treno: addestrare i giovani registi, coltissimi ma inesperti, creare una rete di collaboratori, individuare gli argomenti da proporre al pubblico e, cosa rilevante, fare i conti con la scarsità di mezzi disponibili; per realizzare un programma di trenta minuti avevamo in media due milioni di lire, tre giorni di riprese e tre di montaggio. Con un criterio che ancora oggi non comprendo, l’azienda installò in ogni sede uno studio televisivo piccolissimo, in coabitazione tra telegiornale e programmi, anche laddove si disponeva di locali ben più ampi. La convivenza tra informazione e programmi creava attriti continui perché ognuno doveva difendere i propri spazi di produzione, insufficienti per entrambi; questo contrasto, intrinseco al modello di produzione, portò alla fine della rete regionale nel 1987. L’azienda decise di chiudere gli spazi dei programmi assegnando tutte le risorse disponibili alle redazioni dei tg. RaiTre fu trasformata in una rete nazionale al pari delle altre. Il taglio non sortì risultati positivi: non saziò le necessità delle redazioni, che continuarono a rivendicare altre risorse e il risparmio di bilancio fu irrisorio. Per contro le regioni furono private di spazi televisivi di approfondimento che erano importanti e graditi a livello locale perché il pubblico vi si riconosceva. Protestarono solo gruppi culturali e sociali, non i politici locali piuttosto interessati alle cronache del palazzo: notizie, interviste, polemiche locali e resoconti di convegni.
Negli otto anni di attività (79-87) ogni sede produsse circa 500 pezzi, prevalentemente documentari culturali e inchieste. Programmi che potrebbero essere definiti come “ di utilità ripetuta” e non usa e getta. A tanti anni di distanza questo magazzino costituisce un ritratto dell’Italia locale degli anni 80, che riflette e che mostra il meglio di se stessa. Il lascito di RaiTre regionale è un tassello importante nella documentazione visiva della storia nazionale. Non so se queste produzioni siano state salvate nelle teche o siano andate perdute. Spero che i documenti siano ancora accessibili.
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Quattro protagonisti della nascita di RaiTre, allora responsabili delle strutture di programmazione di sede, intervengono sulla funzione della rete regionale:
Adriano Catani, Trieste:
“La struttura fu organizzata per divisione amministrativa e non comunicativa. Trieste, crocevia di minoranze e di contraddizioni, liberò energie e talenti. Non penso però sia utile oggi una rete regionale. La particolarità locale è diventata negativa. Le regioni sono uno spreco di denaro pubblico. Bisogna unire non dividere, rafforzare lo Stato e il processo di europeizzazione.”
Antonio Minasi, Cosenza
“ I calabresi riconoscevano in Raitre la propria identità. Una regione negletta e in ritardo aveva la possibilità di esprimersi. In Calabria mancano aree metropolitane e sono scarse le comunicazioni di tutti i generi. L’esperienza professionale fu un motore di sviluppo sociale e di coscienza civile. La rete regionale sarebbe ancora necessaria nel meridione.”
Antonio Bruni, Venezia
“Tracciammo un mosaico della regione con i ritratti di personalità locali: artisti, scienziati, intellettuali, imprenditori; nel loro insieme (molti sono scomparsi) si poteva riconoscere il volto complessivo del Veneto, che è una regione grande e policentrica. I suoi elementi unificanti sono la cultura, la spiritualità, le tradizioni storiche, da approfondire nei programmi, più ampi e discorsivi, più rappresentativi rispetto ai notiziari. In una grande dimensione la cronaca risalta a livello provinciale ma non in quello regionale: ciò che accade a Belluno non interessa a Verona.”
Franco Ziliotto, Trento
“Puntai non sulle inchieste ma su un taglio culturale dei programmi: monografie di personaggi, ricerche antropologiche e tradizioni popolari. Sono documenti che oggi hanno un valore storico.”
C’era una volta
Tivù regionale
immette il suo occhio
in fabbriche e in case
tra piazze e parrocchie
ascolta lagnanze
dà spazio agli ingegni
nei luoghi dell’arte
diffusi in provincia
in scena gli artisti
non noti ma eccelsi
ricerca nei borghi
la nuova cultura
dai media ignorata
accetta i dialetti
ma anche stranieri
è minima e povera
vivace e concreta
posta@antoniobruni.it